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Elliot O’Donnel è per me un mito: un cacciatore di fantasmi, anzi, il padre di tutti i ghosthunters.

Non immaginavo che esistesse un libro con le storie di fantasmi scritte da O’Donnel fino a quando ho provato a fare una ricerca su Amazon.

“Scottish Ghost Stories” si intitola il volume. “Una raccolta di storie di fantasmi scozzesi raccontate dal famoso cacciatore di fantasmi Elliott O’Donnell. Goditi la ricca e ricca storia soprannaturale della Scozia in questi racconti ossessionanti” recita l’incipit di Amazon, che tratta questo gentleman passato al regno dei morti nel 1965, alla stregua di un comune scrittore.

Ma chi era Elliot O’Donnel?

Vi voglio raccontare la sua storia tratta da un altro libro trovato anch’esso su Amazon in quanto la prima copia da me acquistata negli anni Novanta era andata persa. 

Una notte di più di ottant’anni fa, in una antica casa disabitata nei dintorni di Bristol, quattro uomini vegliavano in una stanza. Se ne stavano al buio, in silenzio. La quiete era assoluta, a parte i soliti rumori delle vecchie case naturalmente.

Una quinta persona era appostata fuori dalla stanza, sul pianerottolo in cima alle scale. Non faceva parte della squadra, era un amico aggregatosi per spirito d’avventura. Aveva percorso a piedi tutta la strada fin da Bristol, otto miglia nell’umida e nebbiosa brughiera del Somerset e, vinto dalla stanchezza, si era addormentato.

Alle tre di notte la quiete fu spezzata da un urlo di terrore e da invocazioni di aiuto. I quattro si precipitarono sul pianerottolo. Il loro compagno era fuori di sé dalla paura. Raccontò di aver avuto un incubo: un uomo alto e magro, dal viso cadaverico, era salito per le scale a grandi balzi, gli era passato vicino ed era entrato nella stanza attraverso la porta chiusa.

L’antica villa, si diceva, era frequentata da due spettri: un monaco incappucciato e una figura alta e magra. La stanza scelta per la veglia notturna era quella infestata. Vi rientrarono tutti e cinque. Per più di un’ora non accadde niente. Poi uno della compagnia si alzò in piedi, sbadigliando e disse «Per questa notte ne ho abbastanza ragazzi, io tolgo il disturbo».

Si girò verso la porta e ricadde subito a sedere, con un grido strozzato «Oh, mio Dio, eccolo là».

Elliot O’Donnel si guardò attorno. Sulle prime non notò nulla di strano, poi vide una fioca luminosità rossastra che aleggiava a un paio di metri da terra.

«Sta venendo verso di te» gridò qualcuno.

Per una frazione di secondo O’Donnel provò una terribile sensazione di disagio. Quando accesero le luci i compagni gli dissero che quella cosa era passata attraverso di lui: una figura umana, alta e filiforme, dal viso bianco e sottile, simile a un teschio.

Elliot O’Donnel (1872-1965), irlandese, fu una leggenda tra i Ghost Hunter.

Amava dire di se stesso: “Non sono un membro di qualche augusta società che conduce le indagini sull’altro mondo con provette e bilancini e neppure pretendo di essere un medium o un chiaroveggente. Sono solo un cacciatore di fantasmi”.

O’Donnel vide il suo primo fantasma a cinque anni, nell’antica casa della sua famiglia nella contea di Limerick: un’apparizione bizzarra, con un testone enorme e due occhi gialli. Da allora ebbe decine di incontri con gli abitanti del mondo invisibile. Non aveva bisogno di cercare i fantasmi perché li trovava ovunque andasse: nelle stanze d’albergo, per strada, sul treno. La sua innata e arcana predisposizione agli incontri spettrali era dovuta, secondo lui, alle sue origini celtiche. 

Il giovane O’Donnel interruppe la sua carriera teatrale e seguì il suo destino. Per sessant’anni, dovunque ci fosse una casa infestata o un enigma paranormale, compariva lui, il principe dei cacciatori di fantasmi. 

Solo una volta O’Donnel non ce la fece per la troppa paura. 

A Glasgow, in una casa di Duke Street, gli abitanti erano seguiti da passi misteriosi e vedevano sulle pareti l’ombra di un uomo privo della mano sinistra. I bambini del quartiere avevano un compagno di giochi invisibile descritto come “un grosso cane che però non è proprio un cane”.

Una notte, allungando la mano verso il comodino per spegnere la lampada, il padrone di casa toccò qualcosa di morbido e freddo: era una mano senza dita che strisciava sul comodino. La casa fu abbandonata quella notte stessa. Qualche mese dopo O’Donnel vi si recò da solo al tramonto. Si trovava lì da pochi minuti quando sentì bussare rudemente alla porta d’ingresso. Era un poliziotto insospettito dalla presenza del cacciatore di fantasmi.

O’Donnel spiegò il motivo della sua presenza.

L’agente sorrise e disse «Ad ogni modo neppure io avrei paura dei fantasmi se fossi in compagnia di un cane grosso come quello» e puntò il dito verso la scala.

O’Donnel si girò e vide una grossa forma nera, che pareva un cane ma non era proprio un cane, che stava ferma a metà delle scale. Mentre O’Donnel la fissava, si dissolse, come assorbita dalla parete.

O’Donnel sentì di non riuscire a stare un istante in più in quella casa. 

«Entrare di notte in una casa vuota – scrisse – e restare al buio, in costante attesa di non si sa che cosa, non è molto salutare né per il corpo né per la mente e, prima o poi, sfinisce anche le persone dai nervi più saldi. Ma non posso farne a meno perché, la ricerca dell’ignoto, mi attrae e mi affascina».

Tratto da M. Boselli, Il Manuale del Cacciatore di Fantasmi, inserto speciale dell’Almanacco della Paura di Dylan Dog, Sergio Bonelli editore, 1992 

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